Specie target
Alcune specie ittiche presenti nel VCO e di elevato pregio faunisticorappresentano il target del Progetto IDROLIFE: tra di esse spicca indubbiamente la TROTA MARMORATA. La distribuzione di questa specie interessa quasi esclusivamente il Nord Italia e nel bacino del Fiume Ticino (come altrove) la sua popolazione risulta minacciata da molteplici fattori concorrenti. La costruzione di dighe e briglie sui corsi d’acqua impedisce la naturale migrazione a monte degli esemplari adulti, rendendo impossibile alla popolazione un ciclo riproduttivo ottimale. A questo si aggiunge la pressione della pesca sportiva sulla specie, favorita da una misura minima di cattura che pare non essere sufficientemente cautelativa (35 cm). La trota marmorata è minacciata anche geneticamente, in quanto può incrociarsi con la trota fario (Salmo trutta), specie con la quale i fiumi di tutta la Regione Piemonte sono stati ripopolati fino al 2010 (anno di adozione della Legge Regionale 37/2006).
Vi sono anche altre specie ittiche native del bacino del Fiume Ticino e del Lago Maggiore meno interessate dalla pressione della pesca sportiva ma anch’esse minacciate (a vario grado) d’estinzione a causa del progressivo peggioramento della qualità e disponibilità delle acque, della presenza di specie alloctone invasive e della sussistenza di sbarramenti artificiali, quali SCAZZONE, VAIRONE, PIGO e SAVETTA.
In ultimo, un’altra specie acquatica fortemente a rischio è il GAMBERO DI FIUME, decapode autoctono la cui sopravvivenza risulta minacciata da numerosi fattori. La competizione con crostacei decapodi alloctoni è considerata uno dei principali fattori di minaccia per il gambero nativo dei nostri corsi d’acqua e nelle acque del VCO sono attualmente presenti almeno due specie astacicole esotiche: il GAMBERO ROSSO DELLE PALUDI DELLA LOUISIANA (Procambarus clarkii) e il GAMBERO AMERICANO (Orconectes limosus). Inoltre, l’introduzione di queste specie ha portato alla diffusione di una pericolosa micosi, la “peste dei gamberi”, una malattia epidemica causata dal fungo Aphanomyces astaci, di origine americana, che fin dal suo ingresso in Europa più di 100 anni fa (nel 1860) attraverso la probabile e accidentale importazione di gamberi infetti, ha causato una vera e propria decimazione delle popolazioni del nostro gambero.Il gambero d’acqua dolce autoctono, infine, è una specie particolarmente sensibile al degrado ambientale e alla presenza di alcuni inquinanti, in particolare ad alcuni ioni metallici di rame, zinco e cromo, e a molecole a base di piretro utilizzate come antiparassitari in agricoltura.

NOME SCIENTIFICO: Salmo marmoratus
CLASSIFICAZIONE: Ordine Salmoniformi, Famiglia Salmonidi
ORIGINE: endemica degli affluenti di sinistra del Fiume Po e dei corsi d’acqua che sfociano nell’Alto Adriatico, è presente in Italia settentrionale, nel versante adriatico della Slovenia, in Dalmazia, in Montenegro e in Albania.
MORFOLOGIA: presenta un corpo affusolato con bocca molto grande, in posizione mediana, provvista di una dentatura robusta e ben sviluppata. È presente la pinna adiposa tipica dei Salmonidi. Specie di taglia grande, può raggiungere lunghezze superiori al metro e un peso di oltre 20 kg. La livrea è grigio-giallino sul dorso e sui fianchi, con la caratteristica marmoreggiatura tipica di questa semi-specie, costituita da linee sinuose irregolari di colore grigio, bruno o verdastro. Il ventre è giallino o biancastro. Le pinne dorsale e caudale sono grigio-scuro, mentre quelle pettorali, ventrali e anale sono grigio-chiaro con sfumature giallastre.
TAGLIA: specie di taglia medio-grande, può raggiungere i 100 cm di lunghezza.
HABITAT: Popola i tratti pedemontani dei corsi d’acqua, caratterizzati da portate elevate e con acque limpide, fresche, ben ossigenate, con corrente sostenuta o moderata e con fondali ciottolosi e ghiaiosi. Predilige le zone ricche di rifugi e buche profonde dove nascondersi. Si trova spesso associata al temolo, allo scazzone e alla trota fario a causa delle frequenti immissioni di quest’ultima. Nell’alta pianura condivide infine il proprio habitat con diverse specie di Ciprinidi reofili. Vive anche negli ambienti di risorgiva e nei fontanili della zona padana.
ALIMENTAZIONE: è un ittiofago che nei primi 2-3 anni di vita si ciba soprattutto di invertebrati (larve di insetti, Crostacei, Oligocheti e spesso anche insetti adulti). Con l’avanzare dell’età inizia a predare pesci, soprattutto scazzoni, sanguinerole, vaironi e piccole trote.
RIPRODUZIONE: la maturità sessuale viene raggiunta al terzo anno di età. Tra novembre e dicembre le femmine risalgono gli affluenti minori alla ricerca di tratti ciottolosi, con acque poco profonde dove scavare con rapidi movimenti della codadelle buche nelle quali deporre le uova, che una volta fecondate vengono ricoperte di ghiaia. Ogni femmina depone circa 2.300 uova per kg di peso corporeo.
STATO DI CONSERVAZIONE: la sua diffusione ha subito una forte contrazione a causa del degrado ambientale e delle consistenti immissioni di trota fario nel suo areale in grado di formare ibridi con la marmorata a scapito di quest’ultima.
TUTELA: in ambito nazionale (Lista Rossa IUCN dei Vertebrati Italiani): CR – In pericolo critico. In ambito europeo è inserita nell’allegato II della Direttiva 92/43/CEE. A livello mondiale è riconosciuta dall’IUCN come specie “LC” cioè a minore preoccupazione per un’eventuale estinzione.

NOME SCIENTIFICO: Chondrostoma soetta
CLASSIFICAZIONE: Ordine Cipriniformi, Famiglia Ciprinidi
ORIGINE: la specie rappresenta un endemismo dei bacini della Pianura Padana.
MORFOLOGIA: presenta un corpo fusiforme, relativamente sviluppato in altezza, e con una tipica bocca di forma rettangolare, leggermente incurvata verso il basso, situata in posizione nettamente infera. Le pinne dorsale e anale hanno il bordo posteriore concavo. La livrea è grigiastra, con dorso grigio scuro o grigio-bruno e i fianchi più chiari, mentre il ventre è bianco. Le pinne dorsale e caudale sono grigiastre, quelle pettorali, ventrali e anale sono giallastre o arancio pallido. Non presenta dimorfismo sessuale.
TAGLIA: è una specie di taglia media, che raggiunge i 40 cm di lunghezza e 1 kg di peso.
HABITAT: è una specie tipica di acque profonde, ben ossigenate e a corrente moderata, che predilige i tratti medio-bassi dei corsi d’acqua di maggiori dimensioni; è presente anche nei grandi laghi prealpini.La Savetta ha abitudini gregarie e tende a formare gruppi numerosi restando nascosta nelle buche più profonde o nella zona centrale dei corsi d’acqua.
ALIMENTAZIONE: si ciba soprattutto di alghe epilitiche (oltre a macrobenthos) che è in grado di brucare grazie alla conformazione della bocca.Il regime alimentare comprende anche il detrito organico e gli invertebrati bentonici, soprattutto molluschi gasteropodi.
RIPRODUZIONE: la maturità sessuale viene raggiunta per entrambi i sessi a 3-4 anni; il periodo di frega va da aprile a maggio. In questo periodo i riproduttori migrano in gruppo verso le aree di riproduzione localizzate nei piccoli corsi d’acqua, dove la deposizione avviene in acque fresche e correnti, su fondali ghiaiosi, in prossimità delle rive. Ogni femmina è in grado di deporre parecchie migliaia di uova.
STATO DI CONSERVAZIONE: la Savetta è una delle specie ittiche delle acque interne che ha subito i maggiori danni dalla costruzione di dighe ed altri sbarramenti lungo il corso dei fiumi italiani. Questi manufatti risultano deleteri impedendo alla specie la libera circolazione nei corsi d’acqua, necessaria durante le migrazioni riproduttive per raggiungere le zone idonee alla frega. Anche l’artificializzazione degli alvei nei tratti medio-alti dei corsi d’acqua e il prelievo di ghiaia per l’edilizia rappresentano concrete minacce per la specie, perché determinano la riduzione delle aree di frega. Nel Friuli-Venezia Giulia le popolazioni di Savetta sono minacciate anche dalla competizione con Chondrostoma nasus, specie alloctona introdotta negli anni ’60 nella parte slovena dell’Isonzo e successivamente diffusasi in tutto il bacino.
TUTELA:
Nazionale (Lista Rossa IUCN dei Vertebrati Italiani): EN – Minacciata
Globale (IUCN): EN -Minacciata
Specie inserita nell’allegato II della Direttiva 92/43/CEE.
Specie inserita nell’allegato III della Convenzione di Berna

NOME SCIENTIFICO: Rutilus pigus
CLASSIFICAZIONE: Ordine Cipriniformi, Famiglia Ciprinidi
ORIGINE: endemico del bacino padano, è presente in Italia settentrionale, dal Piemonte al Veneto, con popolazioni insediate sia nei grandi laghi subalpini – Lago di Garda e d’Iseo esclusi – sia negli affluenti di sinistra del Po. È stato, inoltre, immesso in alcuni bacini dell’Italia centrale.
MORFOLOGIA: il corpo è fusiforme, con testa piccola e bocca in posizione infero-mediana. La livrea è bronzeo-dorata sui fianchi con dorso scuro; il bordo delle scaglie è nero, facendo apparire sul corpo un caratteristico disegno a reticolo scuro. L’occhio è argenteo o bronzeo. Le pinne pari e anale sono di colore arancio, più intenso durante la riproduzione; le pinne dorsale e caudale sono grigio scure. In periodo riproduttivo i maschi si ricoprono sul muso e sul dorso di evidenti tubercoli nuziali.
TAGLIA: specie di taglia media, può raggiungere una lunghezza di 50 cm.
HABITAT: popola i laghi e i tratti a maggiore profondità e corrente moderata dei fiumi, prediligendo le acque limpide e le zone ricche di vegetazione. Nei grandi laghi prealpini frequenta le zone litorali, con sponde rocciose e scoscese ricoperte di alghee in inverno si sposta in profondità. Gli stadi giovanili formano gruppi spesso frammisti a individui di alborella, mentre gli adulti convivono spesso con la savetta.
ALIMENTAZIONE: la componente principale della dieta è rappresentata dalle alghe filamentose, soprattutto nei giovani. Il regime alimentare è tuttavia onnivoro e comprende anche macroinvertebrati bentonici e, in particolare, gasteropodi e larve di insetti.
RIPRODUZIONE: la maturità sessuale è raggiunta dai maschi a 2 anni e dalle femmine a 2-3 anni; la deposizione avviene tra aprile e maggio sulla vegetazione e sulle pietre del fondo in acque litorali poco profonde. Ciascuna femmina depone da 35.000 a 60.000 uova per kg di peso.
STATO DI CONSERVAZIONE: in Italia le popolazioni di Pigo sono in forte contrazione da alcuni decenni. Una delle cause è sicuramente rappresentata dalle dighe e dagli altri sbarramenti trasversali, che negli ambienti fluviali impediscono agli individui prossimi alla riproduzione di raggiungere i fondali adatti alla deposizione delle uova; anche la pesca sportiva effettuata durante il periodo riproduttivo in prossimità degli sbarramenti potrebbe essere responsabile del consistente decremento demografico di varie popolazioni. Tra gli altri fattori che possono aver determinato il declino delle popolazioni italiane, per lo meno nel bacino idrografico del Ticino, è necessario includere anche l’introduzione del gardon (R. rutilus), specie esotica di provenienza danubiana in grado non solo di ibridare con il pigo ma anche di occuparne la medesima nicchia trofica.
TUTELA:
Nazionale (Lista Rossa IUCN dei Vertebrati Italiani): EN – Minacciata
Globale (IUCN): LC – Minor preoccupazione
Specie inserita nell’allegato II della Direttiva 92/43/CEE
Specie inserita nell’allegato III della Convenzione di Berna

NOME SCIENTIFICO: Telestes muticellus
CLASSIFICAZIONE: Ordine Cipriniformi, Famiglia Ciprinidi
ORIGINE: specie autoctona. Recentemente analisi molecolari hanno evidenziato l’esistenza di una notevole distanza genetica tra le popolazioni di vaironi del nord, centro e sud Italia, tali da dovere effettivamente considerare la loro validità come specie valida (Bianco, P. G. pers. comm.).
MORFOLOGIA: il corpo è fusiforme e allungato, con capo relativamente piccolo e bocca lievemente sub-terminale. Il colore del dorso varia dal nero-verdastro, al grigio-bruno, al grigio-verdastro. Sui fianchi è presente una caratteristica e ben evidente fascia longitudinale nera, al di sotto della quale è visibile la linea laterale, con pori bordati di giallo-arancio. La colorazione dei fianchi e del ventre è bianca con riflessi argentei. Le pinne dorsale e caudale sono grigie, mentre quelle pettorali, ventrali e anale sono giallo-arancio. I maschi in riproduzione mostrano colori più accesi e si ricoprono di tubercoli nuziali sul capo.
TAGLIA: è una specie di taglia medio-piccola, che raggiunge normalmente lunghezze massime di 18-20 cm.
HABITAT: specie amante delle acque correnti, limpide e ricche di ossigeno, il vairone condivide con il temolo la zona pedemontana dei corsi d’acqua, dove predilige le zone laterali, a corrente moderata vicino alle sponde, con fondale ghiaioso. È abbondante nei riali di collina e nelle rogge di pianura dove la velocità di corrente non è eccessiva. Si rinviene anche nella regione litorale dei grandi laghi prealpini in corrispondenza dello sbocco degli immissari. Caratterizza la Zona dei Ciprinidi reofili, dove è associato al barbo canino, alla sanguinerola e al cavedano. È una specie gregaria che vive prevalentemente in prossimità del fondo.
ALIMENTAZIONE: il regime alimentare è onnivoro, e comprende principalmente organismi macrobentonici e alghe epilitiche; nel periodo estivo il Vairone si nutre anche di insetti terrestri (soprattutto ditteri) che vengono cacciati a pelo d’acqua.
RIPRODUZIONE: la maturità sessuale è raggiunta a 2-3 anni in entrambi i sessi.Il periodo riproduttivo si colloca tra aprile e luglio. La deposizione delle uova avviene di notte su fondali ghiaiosi o ciottolosi, in acque basse a corrente veloce. Ogni femmina ne può deporre fino ad alcune migliaia di uova.
STATO DI CONSERVAZIONE: la specie è minacciata dalle varie forme di inquinamento dei corpi idrici e dall’alterazione degli habitat. Le artificializzazioni degli alvei fluviali, gli eccessivi prelievi idrici e i prelievi di ghiaia risultano fortemente impattanti sui substrati riproduttivi di tale specie i processi di frammentazione longitudinale (briglie e sbarramenti) impediscono alla specie la risalita verso le aree di frega.
TUTELA:
Nazionale (Lista Rossa IUCN dei Vertebrati Italiani): LC – Minor preoccupazione
Globale (IUCN): LC – Minor preoccupazione
Specie inserita nell’allegato II della Direttiva 92/43/CEE
Specie inserita nell’allegato III della Convenzione di Berna

NOME SCIENTIFICO: Cottus gobio
CLASSIFICAZIONE: Ordine Scorpeniformi, Famiglia Cottidi
ORIGINE: autoctono. Lo scazzone è ampiamente diffuso in Europa, dai Pirenei agli Urali e dalla Scandinavia all’Italia centro-settentrionale, con esclusione delle regioni più meridionali. In Italia popola le acque torrentizie dell’intero arco alpino, le risorgive della Pianura Padana a nord del Po e alcuni corsi d’acqua appenninici.
MORFOLOGIA: il corpo, privo di scaglie, è fusiforme, con capo grande e appiattito e bocca ampia. Le pinne pettorali sono molto sviluppate e quella anale è piuttosto lunga. La livrea di fondo varia da bruno-grigia a bruno-verdastra con ampie macchie scure irregolari sul dorso e sui fianchi, talvolta confluenti a formare larghe bande trasversali. Il ventre è bianco. Le pinne dorsali, pettorali e caudale sono chiare con macchie speculari scure disposte in file regolari, poco evidenti o assenti nelle pinne ventrali e anale. Durante il periodo riproduttivo i maschi mostrano una livrea più scura.
TAGLIA: è una specie di piccola taglia, che normalmente non supera la lunghezza massima di 15 cm.
HABITAT: predilige acque limpide e fresche, ben ossigenate, con substrati a ciottoli e massi. Colonizza soprattutto i torrenti, dove è associato alla trota fario e alla sanguinerola; è presente inoltre nei tratti pedemontani dei corsi d’acqua maggiori, nei tratti iniziali delle risorgive dell’alta pianura e nei grandi laghi prealpini. Occasionalmente si può rinvenire anche nei laghi alpini. Specie tipicamente bentonica, attiva in prevalenza nelle ore notturne, durante il giorno si nasconde sotto i sassi o tra la vegetazione acquatica; ha abitudini territoriali.
ALIMENTAZIONE: si nutre prevalentemente di invertebrati acquatici, che caccia sul fondo: larve di insetti (Ditteri, Tricotteri, Efemerotteri e Plecotteri), Crostacei e Anellidi (Irudinei e Oligocheti). Occasionalmente lo scazzone può catturare anche piccoli pesci.
RIPRODUZIONE: la maturità sessuale è raggiunta a 1-2 anni negli ambienti di montagna; si riproducono in tarda primavera,deponendo le uova in acque basse con fondale roccioso. Il periodo di frega inizia verso fine di febbraio e può prolungarsi fino alla metà di maggio. Il maschio prepara una cavità sotto massi o altri oggetti sommersi; attirata dal corteggiamento del maschio, la femmina entra nel nido e, in posizione rovesciata, depone le uova facendole aderire alla volta del riparo. Più femmine possono deporre le proprie uova in un unico nido e ognuna può produrre 200-585 uova. Il maschio difende energicamente le uova fino alla schiusa, che si verifica 3-4 settimane dalla fecondazione.
STATO DI CONSERVAZIONE: lo scazzone è molto sensibile alle alterazioni della qualità ambientale, ed in particolare alle artificializzazioni degli alvei; è danneggiato anche dagli eccessivi prelievi idrici, dall’inquinamento delle acque e dalla predazione esercitata sugli stadi giovanili da specie alloctone (come nel caso delle trote immesse in modo massiccio a favore della pesca sportiva); in alcune località le sue carni sono molto apprezzate, ed è oggetto di pesca con metodi illegali. Tutte queste cause hanno determinato numerose estinzioni locali, tanto che l’areale è in forte contrazione. Le popolazioni che sono state maggiormente danneggiate dalle attività antropiche sono quelle degli ambienti di risorgiva mentre nelle aree di montagna vivono le popolazioni numericamente più consistenti.
TUTELA:
Nazionale (Lista Rossa IUCN dei Vertebrati Italiani): LC – Minor preoccupazione
Globale (IUCN): LC – Minor preoccupazione
Specie inserita nell’allegato II della Direttiva 92/43/CEE

NOME SCIENTIFICO: Austropotamobius pallipes complex
CLASSIFICAZIONE: Ordine Decapodi, Famiglia Astacidi
Ad oggi l’inquadramento sistematico è ancora controverso e sulla base delle indicazioni fornite sia da caratteri morfologici sia da più recenti indagini genetiche il genere Austropotamobius viene considerato suddiviso in due specie denominate A. torrentium, presente nel bacino del Danubio e nei Balcani, e A. pallipes complex, distribuita nell’Europa occidentale, dal Portogallo alla Svizzera e alla Dalmazia e dall’Inghilterra alla Francia fino alla Liguria. Quest’ultima è considerata come una “specie complessa” in quanto ulteriormente suddivisa in A. pallipes e A. italicus. La presenza e distribuzione del genere Austropotamobius in Italia è stata recentemente investigata mediante indagini genetiche che hanno evidenziato la presenza di A. pallipes nell’area nord-occidentale della penisola e di A. italicus nel resto della penisola (escluso Puglia e isole).
ORIGINE: autoctono.
MORFOLOGIA: piccolo crostaceo appartenente alla famiglia degli Astacidi, il gambero d’acqua dolce è una delle due uniche specie native in Italia, entrambe riconducibili alla specie “complex” Austropotamobius pallipes. È un crostaceo decapode con il corpo formato da 20 segmenti raggruppati in tre regioni principali: il capo e il torace, fusi in un’unica sezione detta cefalotorace, e l’ addome.Il corpo è ricoperto da un esoscheletro formato da chitina e sali di calcio che viene periodicamente abbandonato nella fase di muta per permetterne la crescita. Il corpo, robusto ma allo stesso tempo abbastanza flessibile, può raggiungere gli 11-12 cm di lunghezza e i 90 g di peso con il maschio più grande della femmina.Il cefalotorace termina in avanti con uno sperone, chiamato rostro, che ai due lati porta gli occhi peduncolati. Nella regione toracica sono presenti 8 paia di appendici articolate: 3 paia di massillipedi o zampe masticatorie e 5 paia di pereiopodi o zampe ambulacrali. Il primo periopode porta una chela ben sviluppata. Gli arti addominali, detti pleopodi, sono poco sviluppati nei maschi in cui le prime due paia sono modificate in organi copulatori (gonopodi); nella femmina sono utilizzati per trattenere le uova durante il periodo di incubazione. Il sesto paio di appendici addominali (uropodi) definisce, insieme all’appendice lamellare (telson) con cui termina l’addome, il ventaglio caudale che funziona da pinna natatoria in retro-propulsione.
TAGLIA: 12 cm
HABITAT: vive in pozze o piccoli corsi d’acqua di collina fino a circa 800 metri di quota. è un animale solitario, con tendenze territoriali più accentuate nei maschi soprattutto nel periodo riproduttivo. Per il resto del tempo si ignorano a vicenda anche se non di rado, nel periodo della muta, si verificano episodi di cannibalismo.La gamma dei siti adatti a costituire rifugio per i periodi di riposo è assai ampia: tronchi e ceppi sommersi, banchi di macrofite, lettiere di foglie e rami, anfratti rocciosi, ecc. Quando è possibile tuttavia scava tane lungo le rive del corpo idrico.
ALIMENTAZIONE: l’alimentazione è molto varia e può essere costituita da sostanze vegetali (semi, macrofite) o animali (artropodi, animali in decomposizione).
RIPRODUZIONE: La maturità sessuale di norma viene raggiunta al terzo anno. L’accoppiamento avviene nei mesi autunnali; i maschi “corteggiano” le femmine in modo piuttosto violento, giungendo anche a mutilare o addirittura uccidere la femmina reticente al rovesciamento sul dorso per l’accoppiamento frontale. Dopo il maschio abbandona la femmina per cercare altre partner. Le uova fecondate aderiscono alle appendici addominali (pleopodi) della femmina che proteggerà i piccoli nati per alcuni mesi (fino alla primavera successiva). Dopo aver abbandonato la madre, i giovani gamberi affrontano un periodo difficile; i primi mesi di vita sono i più problematici e fanno registrare i tassi di mortalità più elevati. La longevità media è di 10-15 anni, con punte fino a 20 anni.
STATO DI CONSERVAZIONE: A partire dalla seconda metà del XX secolo, purtroppo, le popolazioni di questo gambero si sono ridotte in molti bacini e altre sono addirittura scomparse per cause innumerevoli che vanno dalla diffusione della “peste del gambero” alla distruzione e modificazione dell’habitat naturale della specie, alla concorrenza di specie esotiche introdotte dall’uomo, come il gambero americano e il gambero rosso della Louisiana.
TUTELA:
Globale (IUCN): EN – Minacciata (Füreder et al., 2010)
Specie inserita nell’allegato II della Direttiva 92/43/CEE.